Diceva il conte Verri...

"La voce della verità comincia da lontano a farsi ascoltare, poi si moltiplicano le forze, e la opinione regina dell'universo sorride in prima, poi disputa, poi freme, poi ricorre alle arti, poi termina derisa: questo è il solito gradato passo che fa la ragione a fronte dell'opinione" (Pietro Verri)

domenica 21 febbraio 2016

SHARING ECONOMY A BIASSONO?

"Biassono non ha fondi, non dà servizi, alza le tasse, se tace la parola su cui si costruisce il futuro: collaboriamo. Dunque, CONDIVIDIAMO". 

Così riporta un tweet del manifesto-in-progress lanciato da LpB nelle settimane scorse. Ma cosa significa davvero condividere, oggi? Cosa s'intende esattamente per Sharing Economy? 

Abbiamo chiesto a Monica Bernardi, concittadina, dottoressa e ricercatrice presso la cattedra di Sociologia Urbana all'Università Bicocca di Milano, di aiutarci a definire meglio l'orizzonte entro cui intende muoversi Lista per Biassono: perché, insieme a tutti voi, vogliamo aprire nuove strade e possibilità per l'economia del nostro paese. 


a cura di Monica Bernardi

"L’avvento della crisi economica globale, a partire dal 2008, ha messo in discussione i tradizionali postulati di crescita economica e sociale, nonché l’intero sistema capitalistico, spingendo le persone a domandarsi di cosa avessero realmente bisogno e come estrarre valore dalle cose/capacità possedute. 

Al contempo, la diffusione massiccia delle nuove tecnologie, e del web 2.0, ha favorito l’emergere di nuove risposte alle problematiche sociali, alimentando pratiche inimmaginabili fino a qualche anno fa: molto più aperte, trasparenti e partecipative, basate su condivisione e collaborazione

Due termini che incarnano il concetto di Sharing Economy e lo traducono in nuovi modelli di servizio, in nuove forme di reciprocità e di gestione della cosa pubblica (vedi Social Street), capaci di abilitare le persone a scambiare e condividere beni, spazi, competenze, tempo e denaro, promuovendo uno stile di vita basato sul risparmio, la redistribuzione del denaro e la socializzazione. 

L’Internet delle Cose e i miliardi di sensori che collegano tra loro persone, oggetti e dati, grazie alla diffusione delle piattaforme e all’accesso constante alla rete, permettono di utilizzare ciò che serve solo per il tempo che serve, di accedere a risorse che altrimenti andrebbero sprecate e di comunicare in una modalità alla pari, peer-to-peer, bypassando i canali istituzionali e più tradizionali di comunicazione e commercio. 

La vera rivoluzione parte dall’idea che non occorre possedere un bene, quello che conta è avere la possibilità di accedervi all’occorrenza. 

Come suggerisce Jeremy Rifkin, stiamo assistendo a un passaggio epocale: dal possesso all’accesso, dall’acquisto al riuso, un passaggio che vede la proprietà di un bene sostituita con l’esperienza di utilizzo di quel bene. Questo nuovo modello di produzione e consumo, veicolato appunto dalla Sharing Economy, sembra avere in sé il potenziale di accrescere i risparmi e rendere i consumatori protagonisti attivi del ciclo economico, rispondere al bisogno di ridurre l’impatto ambientale e frenare gli effetti catastrofici di una società votata all’iper-consumo, e far accedere a forme di socialità altrimenti inaccessibili.

Di cosa stiamo parlando? Della possibilità di utilizzare piattaforme tecnologiche per entrare in contatto diretto, senza intermediazione, con altre persone per accedere a risorse messe a disposizione da chi non le usa più o non le usa molto a chi invece ne ha bisogno; senza doverle necessariamente comprare, semplicemente noleggiando, chiedendo in prestito o scambiando con altri oggetti/risorse. Esistono piattaforme per scambiare i vestiti dei bambini, ma anche gli attrezzi, i complementi d’arredo, le proprie competenze, le autoproduzioni e i prodotti artigianali. 

Online è possibile imparare una nuova lingua scambiando il proprio tempo con quello di un madrelingua con cui conversare. 

Si può scambiare la casa o mettere a disposizione un letto o una stanza non utilizzati a vantaggio di qualche viaggiatore in cerca di un’esperienza diversa. 

Si può accedere a una rete di guide locali, cittadini autorizzati a diffondere cultura e tradizioni delle proprie terre. 

Si può aprire la propria casa organizzando cene con sconosciuti iscritti alla stessa piattaforma di social eating, o avviare programmi di sharing cooking

Si può accedere a servizi di peer-to-peer landing, stipulare assicurazioni collaborative, lanciare una campagna di crowdfunding per finanziarsi un’idea o un progetto e usare monete complementari per gli scambi e gli acquisti. 

Si può accedere a open courses gratuiti o partecipare a lezioni universitarie online. 

Si può noleggiare l’auto di un privato o farsi dare un passaggio da uno sconosciuto. 

E ancora, si possono mettere in comune le auto e le biciclette, usando speciali applicazioni che consentono sempre di sapere dove si trova il mezzo libero più vicino e dove depositarlo, pagando con un touch. 

Si possono conoscere le persone del proprio quartiere e organizzare eventi locali per migliorare la propria zona di residenza, incrementarne la vivacità sociale e promuovere attività locali. 

Si possono organizzare e poi realizzare orti urbani condivisi, di cui la collettività è responsabile, o ideare forme di produzione condivisa che si concretizzano poi nei FabLab e nei makerspace

Si possono trovare spazi da adibire ad uso collettivo, per il lavoro, la produzione, il consumo.  

Si può rimettere in circolo qualunque cosa non venga più utilizzata o offrire le proprie risorse e il proprio tempo per guadagnare qualcosa. 

E gli esempi potrebbero continuare, confermando lo spirito di iniziativa e il fermento innovativo che accompagna questo periodo definito da molti di transizione. Una transizione verso un modello di sviluppo e di consumo più sostenibile, in cui le relazioni hanno più valore degli oggetti, e che, secondo diversi autori, l’economia della condivisione potrebbe facilitare. La condivisione e la collaborazione sono, infatti, pratiche che consentirebbero di agire su tre grandi aree attualmente in difficoltà: lo sviluppo economico, la sfera ambientale e i legami sociali. Perché “condividere le risorse anziché possederle è più efficiente, sostenibile e aiuta a costruire comunità” (Rinne, 2013).





6 commenti:

  1. SHARING ECONOMY: TRA INNOVAZIONE E TRADIZIONE
    L'esempio del trapano in cantina da condividere mi ha fatto tornare alla mente la formidabile esperienza di "collaborazione e condivisione" della nostrana "Cooperativa di produzione e lavoro". Proprio a Biassono, nei primi decenni del novecento,la Cooperativa aveva attrezzato il portico di Villa Verri con macchine utensili per la lavorazione del legno che potevano essere utilizzate a turno dai soci per i lavori di falegnameria che, specie nei mesi invernali di riposo della terra, compendiavano i modesti redditi derivanti dalle coltivazioni agricole.
    Rimane da capire e inventare il ruolo che la Pubblica Amministrazione può giocare per sostenere e incentivare queste nuove, e al contempo antiche, buone pratiche dei privati cittadini: ad esempio i cosidetti "incubatori d'impresa" hanno scopi molto simili mettendo a disposizione dei progetti imprenditoriali, più che le nuove attrezzature, il nuovo know how e i nuovi servizi di cui abbisognano per l'avvio della start up.
    Giorgio

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  2. E' proprio facendo leva sul legame fra abiti un tempo acquisiti e nuove opportunità tecnologiche che sarà più semplice modificare l'attuale modello economico. In tal senso, favorire il riavvicinamento generazionale, con nuove leve pronte ad alfabetizzare digitalmente le più anziane, così come a recepire e valorizzare il loro patrimonio di conoscenze, può essere il primo passo per infondere linfa in una società ormai incapace di rigenerarsi. Non basta dotarsi di nuove tecnologie, se poi non si è neppur consapevoli delle loro effettive potenzialità (come spesso capita nelle scuole, dove insegnanti "analogici" ne sanno meno dei propri studenti). L'amministrazione comunale ha la possibilità di orientare questo sviluppo e, soprattutto, di unificare progetti spesso troppo slegati gli uni dagli altri, facendosi ad esempio promotrice dell'istituzione di una piattaforma digitale di servizio. Questo infatti è solo uno degli obiettivi e delle proposte che Lista per Biassono lancia nel suo programma elettorale.

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  3. Più che "modificare l'attuale modello economico" mi accontenterei, con maggior modestia e realismo, di creare nuove opportunità di lavoro locale. Sarebbe già un grande successo.
    Giorgio

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  4. Purtroppo non è questione di modestia, ma d'improrogabile necessità. Se non ci rendiamo conto - come continuano a ripetere le ultime voci libere (non da ultimo Edgar Morin, nel suo "I sette saperi necessari all'educazione del futuro") - che l'attuale modello di sviluppo è semplicemente insostenibile nel rapporto demografia/risorse del nostro ecosistema, avremo ben poco di cui accontentarci. Stanno crescendo generazioni che non avranno più alcuna possibilità di godere dei livelli di benessere appartenenti alla generazione dei propri genitori; ma non si tratta neppure di accettare un ridimensionamento dei livelli di consumo. Se non si modifica la struttura stessa del sistema di produzione, e conseguentemente non si adeguano i modelli infrastrutturali, l'unica certezza è il collasso della civiltà così come l'abbiamo sino a oggi conosciuta. D'altra parte, l'odierno proliferare di guerre e crisi è riconducibile a una ragione ben più radicale (e dalla medesima matrice) di quanto si continui a credere. Ecco perché il cambiamento deve cominciare qui e ora, cercando di sganciarsi quanto più possibile dalle dipendenze indotte dal sistema stesso.

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  5. Qui e ora. Così, come prima e più di prima.
    Credo che dopo azioni continue, ingenti risorse e impegno ultradecennale, saremo isole di un arcipelago dove la sostenibilità potrebbe, forse, avere qualche credibilità e speranza di successo ma, per la rivoluzione globale, aspetterei, se potessi, il prossimo giro, i prossimi cantori e i prossimi comandanti. Alberto,quando l'utopia sfida la realtà, l'utopia perde sempre!
    L'economia globale è mossa ogni giorno da migliaia di miliardi di euro che difficilmente si sposteranno in misura significativa e dentro il nostro ragionevole arco di tempo,su queste nuove forme di produzione e consumo. Per questo sarei già contento di veder spuntare una piccola isoletta magari in un piccolo arcipalgo.
    Comunque, in bocca al lupo e che la forza sia con te.

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  6. Un po' di anni fa, ad un professionista che molto aveva riflettuto e lavorato sull'attuale modello di sviluppo e sulla crisi che stiamo attraversando, avevo chiesto un po' ironicamente se fossimo riusciti a frenare a aggiustare il tiro. “Noi non riusciremo a frenare, siamo troppo 'in corsa', saranno i giovani che ad un certo punto troveranno un modo loro per andare avanti”. Toccando anche un po' ferro, mi pare che le cose non vadano molto diversamente da quella specie di profezia.
    e.d.

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