"Biassono non ha fondi, non dà servizi, alza le tasse, se tace la parola su cui si costruisce il futuro: collaboriamo. Dunque, CONDIVIDIAMO".
Così riporta un tweet del manifesto-in-progress lanciato da LpB nelle settimane scorse. Ma cosa significa davvero condividere, oggi? Cosa s'intende esattamente per Sharing Economy?
Abbiamo chiesto a Monica Bernardi, concittadina, dottoressa e ricercatrice presso la cattedra di Sociologia Urbana all'Università Bicocca di Milano, di aiutarci a definire meglio l'orizzonte entro cui intende muoversi Lista per Biassono: perché, insieme a tutti voi, vogliamo aprire nuove strade e possibilità per l'economia del nostro paese.
Abbiamo chiesto a Monica Bernardi, concittadina, dottoressa e ricercatrice presso la cattedra di Sociologia Urbana all'Università Bicocca di Milano, di aiutarci a definire meglio l'orizzonte entro cui intende muoversi Lista per Biassono: perché, insieme a tutti voi, vogliamo aprire nuove strade e possibilità per l'economia del nostro paese.
a cura di Monica Bernardi
"L’avvento della crisi economica globale, a
partire dal 2008, ha messo in discussione i tradizionali postulati di crescita
economica e sociale, nonché l’intero sistema capitalistico, spingendo le persone a
domandarsi di cosa avessero realmente bisogno e come estrarre valore dalle
cose/capacità possedute.
Al contempo, la diffusione massiccia delle nuove
tecnologie, e del web 2.0, ha favorito l’emergere di nuove risposte alle
problematiche sociali, alimentando pratiche inimmaginabili fino a qualche anno
fa: molto più aperte, trasparenti e partecipative, basate su condivisione e
collaborazione.
Due termini che incarnano il concetto di Sharing Economy e lo
traducono in nuovi modelli di servizio, in nuove forme di reciprocità e di
gestione della cosa pubblica (vedi
Social Street), capaci di abilitare le persone a scambiare e condividere beni,
spazi, competenze, tempo e denaro, promuovendo uno stile di vita basato sul
risparmio, la redistribuzione del denaro e la socializzazione.
L’Internet delle
Cose e i miliardi di sensori che collegano tra loro persone, oggetti e dati,
grazie alla diffusione delle piattaforme e all’accesso constante alla rete,
permettono di utilizzare ciò che serve solo per il tempo che serve, di accedere
a risorse che altrimenti andrebbero sprecate e di comunicare in una modalità
alla pari, peer-to-peer, bypassando i canali istituzionali e più tradizionali
di comunicazione e commercio.
La vera rivoluzione parte dall’idea che non
occorre possedere un bene, quello che conta è avere la possibilità di accedervi
all’occorrenza.
Come suggerisce Jeremy Rifkin, stiamo assistendo a un passaggio
epocale: dal possesso all’accesso, dall’acquisto al riuso, un passaggio che
vede la proprietà di un bene sostituita con l’esperienza di utilizzo di quel
bene. Questo nuovo modello di produzione e consumo, veicolato appunto dalla
Sharing Economy, sembra avere in sé il potenziale di accrescere i risparmi e
rendere i consumatori protagonisti attivi del ciclo economico, rispondere al
bisogno di ridurre l’impatto ambientale e frenare gli effetti catastrofici di
una società votata all’iper-consumo, e far accedere a forme di socialità
altrimenti inaccessibili.
Di cosa stiamo parlando? Della possibilità
di utilizzare piattaforme tecnologiche per entrare in contatto diretto, senza intermediazione,
con altre persone per accedere a risorse messe a disposizione da chi non le usa
più o non le usa molto a chi invece ne ha bisogno; senza doverle
necessariamente comprare, semplicemente noleggiando, chiedendo in prestito o
scambiando con altri oggetti/risorse. Esistono piattaforme per scambiare
i vestiti dei bambini, ma anche gli attrezzi, i complementi d’arredo, le
proprie competenze, le autoproduzioni e i prodotti artigianali.
Online è
possibile imparare una nuova lingua scambiando il proprio tempo con quello di
un madrelingua con cui conversare.
Si può scambiare la casa o mettere a
disposizione un letto o una stanza non utilizzati a vantaggio di qualche
viaggiatore in cerca di un’esperienza diversa.
Si può accedere a una rete di
guide locali, cittadini autorizzati a diffondere cultura e tradizioni delle
proprie terre.
Si può aprire la propria casa organizzando cene con sconosciuti iscritti alla stessa
piattaforma di social eating, o avviare programmi di sharing cooking.
Si può accedere a servizi
di peer-to-peer landing, stipulare assicurazioni collaborative, lanciare una
campagna di crowdfunding per finanziarsi un’idea o un progetto e usare monete
complementari per gli scambi e gli acquisti.
Si può accedere a open courses
gratuiti o partecipare a lezioni universitarie online.
Si può noleggiare l’auto
di un privato o farsi dare un passaggio da uno sconosciuto.
E ancora, si
possono mettere in comune le auto e le biciclette, usando speciali applicazioni
che consentono sempre di sapere dove si trova il mezzo libero più vicino e dove
depositarlo, pagando con un touch.
Si possono conoscere le persone del proprio
quartiere e organizzare eventi locali per migliorare la propria zona di
residenza, incrementarne la vivacità sociale e promuovere attività locali.
Si
possono organizzare e poi realizzare orti urbani condivisi, di cui la
collettività è responsabile, o ideare forme di produzione condivisa che si
concretizzano poi nei FabLab e nei makerspace.
Si possono trovare spazi da
adibire ad uso collettivo, per il lavoro, la produzione, il consumo.
Si può rimettere in circolo qualunque
cosa non venga più utilizzata o offrire le proprie risorse e il proprio tempo
per guadagnare qualcosa.
E gli esempi potrebbero continuare, confermando lo
spirito di iniziativa e il fermento innovativo che accompagna questo periodo
definito da molti di transizione. Una transizione verso un modello di sviluppo
e di consumo più sostenibile, in cui le relazioni hanno più valore degli
oggetti, e che, secondo diversi autori, l’economia della condivisione potrebbe
facilitare. La condivisione e la collaborazione sono, infatti, pratiche che consentirebbero
di agire su tre grandi aree attualmente in difficoltà: lo sviluppo economico,
la sfera ambientale e i legami sociali. Perché “condividere le risorse anziché
possederle è più efficiente, sostenibile e aiuta a costruire comunità” (Rinne,
2013).
SHARING ECONOMY: TRA INNOVAZIONE E TRADIZIONE
RispondiEliminaL'esempio del trapano in cantina da condividere mi ha fatto tornare alla mente la formidabile esperienza di "collaborazione e condivisione" della nostrana "Cooperativa di produzione e lavoro". Proprio a Biassono, nei primi decenni del novecento,la Cooperativa aveva attrezzato il portico di Villa Verri con macchine utensili per la lavorazione del legno che potevano essere utilizzate a turno dai soci per i lavori di falegnameria che, specie nei mesi invernali di riposo della terra, compendiavano i modesti redditi derivanti dalle coltivazioni agricole.
Rimane da capire e inventare il ruolo che la Pubblica Amministrazione può giocare per sostenere e incentivare queste nuove, e al contempo antiche, buone pratiche dei privati cittadini: ad esempio i cosidetti "incubatori d'impresa" hanno scopi molto simili mettendo a disposizione dei progetti imprenditoriali, più che le nuove attrezzature, il nuovo know how e i nuovi servizi di cui abbisognano per l'avvio della start up.
Giorgio
E' proprio facendo leva sul legame fra abiti un tempo acquisiti e nuove opportunità tecnologiche che sarà più semplice modificare l'attuale modello economico. In tal senso, favorire il riavvicinamento generazionale, con nuove leve pronte ad alfabetizzare digitalmente le più anziane, così come a recepire e valorizzare il loro patrimonio di conoscenze, può essere il primo passo per infondere linfa in una società ormai incapace di rigenerarsi. Non basta dotarsi di nuove tecnologie, se poi non si è neppur consapevoli delle loro effettive potenzialità (come spesso capita nelle scuole, dove insegnanti "analogici" ne sanno meno dei propri studenti). L'amministrazione comunale ha la possibilità di orientare questo sviluppo e, soprattutto, di unificare progetti spesso troppo slegati gli uni dagli altri, facendosi ad esempio promotrice dell'istituzione di una piattaforma digitale di servizio. Questo infatti è solo uno degli obiettivi e delle proposte che Lista per Biassono lancia nel suo programma elettorale.
RispondiEliminaPiù che "modificare l'attuale modello economico" mi accontenterei, con maggior modestia e realismo, di creare nuove opportunità di lavoro locale. Sarebbe già un grande successo.
RispondiEliminaGiorgio
Purtroppo non è questione di modestia, ma d'improrogabile necessità. Se non ci rendiamo conto - come continuano a ripetere le ultime voci libere (non da ultimo Edgar Morin, nel suo "I sette saperi necessari all'educazione del futuro") - che l'attuale modello di sviluppo è semplicemente insostenibile nel rapporto demografia/risorse del nostro ecosistema, avremo ben poco di cui accontentarci. Stanno crescendo generazioni che non avranno più alcuna possibilità di godere dei livelli di benessere appartenenti alla generazione dei propri genitori; ma non si tratta neppure di accettare un ridimensionamento dei livelli di consumo. Se non si modifica la struttura stessa del sistema di produzione, e conseguentemente non si adeguano i modelli infrastrutturali, l'unica certezza è il collasso della civiltà così come l'abbiamo sino a oggi conosciuta. D'altra parte, l'odierno proliferare di guerre e crisi è riconducibile a una ragione ben più radicale (e dalla medesima matrice) di quanto si continui a credere. Ecco perché il cambiamento deve cominciare qui e ora, cercando di sganciarsi quanto più possibile dalle dipendenze indotte dal sistema stesso.
RispondiEliminaQui e ora. Così, come prima e più di prima.
RispondiEliminaCredo che dopo azioni continue, ingenti risorse e impegno ultradecennale, saremo isole di un arcipelago dove la sostenibilità potrebbe, forse, avere qualche credibilità e speranza di successo ma, per la rivoluzione globale, aspetterei, se potessi, il prossimo giro, i prossimi cantori e i prossimi comandanti. Alberto,quando l'utopia sfida la realtà, l'utopia perde sempre!
L'economia globale è mossa ogni giorno da migliaia di miliardi di euro che difficilmente si sposteranno in misura significativa e dentro il nostro ragionevole arco di tempo,su queste nuove forme di produzione e consumo. Per questo sarei già contento di veder spuntare una piccola isoletta magari in un piccolo arcipalgo.
Comunque, in bocca al lupo e che la forza sia con te.
Un po' di anni fa, ad un professionista che molto aveva riflettuto e lavorato sull'attuale modello di sviluppo e sulla crisi che stiamo attraversando, avevo chiesto un po' ironicamente se fossimo riusciti a frenare a aggiustare il tiro. “Noi non riusciremo a frenare, siamo troppo 'in corsa', saranno i giovani che ad un certo punto troveranno un modo loro per andare avanti”. Toccando anche un po' ferro, mi pare che le cose non vadano molto diversamente da quella specie di profezia.
RispondiEliminae.d.