Un
NO chiaro e definitivo alla modifica della Costituzione. Ogniqualvolta il
governo italiano metta in questione un Bene Comune, è dovere di una sana lista
civica far sentire la propria voce senza titubanza alcuna. Già nel 2011, allorché
si trattò di decidere sull’affidamento a privati del ciclo dell'acqua, o sulla
realizzazione in territorio nazionale d’impianti di stoccaggio e/o di
produzione nucleare, Lista per Biassono si schierò apertamente per il NO, a
loro difesa e salvaguardia. Ora che in gioco è forse il primo e il più
importante dei Beni Comuni, cioè la Costituzione su cui l’Italia stessa si
fonda, ogni cittadino che abbia a cuore il proprio Paese è chiamato alla
mobilitazione.
Detto in modo diretto, la riforma costituzionale, al pari della
nuova legge elettorale, configurano un MODELLO CHE RIDUCE GLI SPAZI DI
DEMOCRAZIA. Disegnano un Paese, dunque, in cui la democrazia si riduce
all'investitura diretta del partito di governo e del suo capo (art. 2
L.52/2015). Una forma, di fatto, di premierato assoluto, ma senza le garanzie e
i contrappesi tipici di un regime
presidenziale. Qui cerchiamo dunque di sintetizzare e argomentare le nostre
ragioni (attengono sia a questioni di metodo che di merito; ne elenchiamo
alcune traendo spunto dal pregevole scritto del professor Giovanni Missaglia di
Lissone), nella speranza questo sintetico contributo aiuti i nostri lettori a
valutare il referendum confermativo del prossimo 4 dicembre in modo più
critico. Al di là dei facili populismi di cui la politica odierna è sempre più
vittima, ma al contempo rispettando sempre la libertà di eventuali e differenti
posizioni individuali.
ASSENZA
DI UN CONTESTO EQUILIBRATO
Ogni
cambiamento, ammesso e non concesso risponda a una reale istanza di rinnovamento
proveniente dai cittadini, dovrebbe avvenire in un contesto equilibrato e
democratico, coerente con le linee ed i principi chiaramente delineati dalla
Costituzione stessa. Si tratta di una Riforma che nasce per iniziativa del governo
che, per definizione, è espressione di una maggioranza politica. Le regole
costituzionali, invece, devono essere modificate per iniziativa del Parlamento,
sede istituzionale rappresentativa del popolo sovrano, e non della sola
maggioranza politica (qualunque essa sia). Diceva Calamandrei nel 1947: “...nel campo del potere costituente il
Governo non può avere alcuna iniziativa, neanche preparatoria.....Quando
l'Assemblea discuterà
pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del Governo dovranno
essere vuoti”.
Né
vale l'obiezione di chi dice che il Parlamento ha poi approvato il disegno di
legge di iniziativa governativa. Anche perché lo ha fatto coi soli voti della
maggioranza e non con quella qualificata prevista dall'art. 138.
UN
PARLAMENTO POCO AUTOREVOLE
L'attuale
Parlamento è stato eletto con una legge, il cosidetto Porcellum, dichiarata
incostituzionale con sentenza n.1/2014 della Corte. Non sarebbe pertanto politicamente
legittimato neppure a una piccola revisione costituzionale. Men che meno a una
vera e propria riscrittura di 47 articoli della Costituzione! Le Camere, al
contrario, avrebbero dovuto approvare una nuova legge elettorale che superasse
i rilievi di incostituzionalità della Corte, per permettere ai cittadini di
tornare al voto; non certo auto-attribuirsi un potere costituente per
riscrivere la Costituzione. Compito che, in realtà, spetterebbe a un'assemblea
costituente eletta con metodo proporzionale, onde dare voce a tutte le culture
e sensibilità politiche del Paese.
ALTERATI
I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COSTITUZIONE
Non
è vero che la Parte Prima della Costituzione non viene toccata. Può esser vero
sotto l'aspetto formale, non certo sotto quello sostanziale. I Principi
Fondamentali trovano infatti la loro effettiva attuazione nella Seconda Parte. Ne
consegue che, ad esempio, il nuovo Senato non elettivo, ma anche la nuova legge
elettorale, modificano sostanzialmente l'art. 1 perché cambiano le forme e i
limiti in base ai quali si esercita la sovranità popolare. Analogamente, per
l'innalzamento da 50.000 a 150.000 delle firme per le leggi di iniziativa
popolare. O per la modifica del Titolo V, che confligge col principio della
promozione delle autonomie e del decentramento sancito all'art. 5.
COSTITUZIONE
E LEGGE ELETTORALE SONO INTERDIPENDENTI
Il
giudizio sulla Riforma non può essere disgiunto dalla valutazione sulla nuova
legge elettorale, contribuendo la stessa a determinare gli equilibri
istituzionali. L'Italicum servirà ad eleggere la sola Camera dei deputati,
l'unica dotata del potere di accordare o revocare la fiducia al governo. Ed è
una legge che non supera i rilievi di incostituzionalità del Porcellum,
attribuendo anch'essa un abnorme premio di maggioranza (54%) al partito
vincitore delle elezioni. Ne uscirà una Camera sempre più saldamente
governativa, mero luogo di ratifica delle decisioni del governo. Vengono
inoltre mantenuti i capilista nominati dai partiti, che potranno presentarsi in
più collegi, fino a 10. Verrà meno il principio costituzionale della
conoscibilità dei candidati da parte dell'elettore, perché non è prevedibile,
grazie al gioco delle “opzioni”, se il candidato che l'elettore ha votato sarà
o no quello poi effettivamente eletto nel collegio. Il Parlamento non sarà più
un'istituzione libera e indipendente in grado di esercitare un efficace
controllo sul Governo, ma avverrà il contrario. Lo conferma, del resto,
l'introduzione dell'istituto del cosiddetto “voto a data certa” (art. 72, c.2)
con il quale il Governo può imporre al Parlamento contenuti e tempi di
discussione dei provvedimenti considerati prioritari ed essenziali per l'azione
di governo.
TUTTE
LE ISTITUZIONI SOTTOPOSTE AL GOVERNO
La
nuova Camera dei deputati continuerà ad essere composta da 630 membri; il nuovo
Senato, invece, viene ridotto da 315 a 100 membri. Ne consegue che,
ogniqualvolta il Parlamento dovrà riunirsi in seduta comune, il peso specifico
della Camera dei deputati, eletta col sistema di cui sopra, sarà nettamente
superiore a quello del Senato. Il Governo, che già controlla la Camera dei
deputati, potrà scegliersi un “suo” Presidente della Repubblica (dal settimo
scrutinio saranno sufficienti i 3/5 dei votanti, non dei componenti del
Parlamento) i tre giudici della Corte costituzionale ed i membri del CSM di
elezione parlamentare in seduta comune.
Viene
pertanto aggravato il rischio della concentrazione dei poteri nelle mani della
sola maggioranza governativa. Riteniamo che la riduzione del numero dei
politici avrebbe potuto e dovuto essere
realizzata dimezzando anche il numero dei deputati, mantenendo
l'equilibrio istituzionale senza il quale il sistema di pesi e contrappesi di
una democrazia costituzionale finisce per saltare.
UN
SENATO A MEZZO SERVIZIO
Il
nuovo Senato, che non rappresenterà più la Nazione ma le “istituzioni
territoriali”, conserva rilevanti funzioni legislative nazionali, pur non
essendo più legittimato direttamente dal corpo elettorale. Ma chi legifera per
tutto il popolo italiano dovrebbe avere un mandato diretto; i nuovi senatori,
invece, saranno eletti, tra i consiglieri, dai Consigli Regionali. E come
abbiano potuto conservare il potere di revisione costituzionale, senza elezione
diretta, continua a rimanere un mistero. Così come un arcano è la scrittura del
nuovo art. 57 in base al quale “i Consigli Regionali eleggono, con metodo
proporzionale, i senatori tra i propri componenti” salvo aggiungere che i
senatori devono essere eletti “in conformità alle scelte espresse dagli
elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi
organi”.
Ma
se queste scelte saranno vincolanti, non può esserci elezione da parte dei
Consigli regionali ma, al più, ratifica; se non saranno vincolanti, come si può
parlare di “conformità”?
CONFLITTUALITA’
DELLE CAMERE
Il
nuovo art. 70, lungi dal superare i vizi del bicameralismo paritario, introduce
una complicata procedura legislativa che, invece, rischia di aggravarli
ingenerando conflitti di competenza tra le due Camere. Vi possono essere:
a)
leggi approvate da entrambe le Camere
b)
leggi approvate dalla sola Camera dei deputati ma con possibile esame
del Senato
c)
leggi approvate dalla sola Camera dei deputati ma con necessario esame
del Senato
d) disegni di legge che
il Senato può chiedere alla Camera dei deputati di esaminare
e)
leggi elettorali per le quali è possibile chiedere il controllo preventivo
della Corte costituzionale
f)
leggi dichiarate dal Governo essenziali all'attuazione del suo programma
g)
leggi di conversione dei decreti legge
Non
siamo certamente di fronte ad una “semplificazione”. I conflitti di competenza
sono ovviamente prevedibili e previsti, al punto che i Presidenti delle Camere
sono già investiti del ruolo di arbitri per dirimerli.
MANTENIMENTO
DEI “PRIVILEGI”
I
nuovi senatori a mezzo servizio (Consiglieri regionali o Sindaci) non
percepiranno indennità, ma saranno spesati per le trasferte romane. Godranno,
invece, dell'immunità parlamentare prevista dall'art. 68, dando copertura
costituzionale anche alla loro attività sui territori.
PIU’
CENTRALISMO STATALISTA
La
Riscrittura del Titolo V (art. 117 e segg.) riporta allo Stato alcune materie
che dal 2001 erano divenute di competenza delle Regioni. Allo Stato viene
attribuita la possibilità di legiferare senza limiti, in via ordinaria ed in
via straordinaria attraverso la cosiddetta clausola di supremazia (art. 117,
c.4). Lo svuotamento del potere legislativo delle Regioni appare contraddittorio
con la previsione di un Senato che dovrebbe rappresentare le istituzioni
territoriali.
“Non è il fascismo: non ci sono le leggi
razziali, il confino per gli oppositori e la messa al bando dei partiti di
opposizione e dei sindacati. Ma è un clamoroso svuotamento della democrazia,
che non è solo governo di una maggioranza, peraltro artificiosamente costruita
dai meccanismi elettorali, ma anche garanzia delle minoranze, partecipazione,
rappresentanza istituzionale del pluralismo sociale e attento equilibrio dei
poteri dello Stato”. Giovanni Missaglia