Prendiamo, ad esempio, la tempestività operativa del gestore Tim. Esaurito il traffico di Gigabyte dell’abbonamento privato mensile di uno dei consiglieri, per tutta la giornata del 19 novembre lo stesso consigliere ha tentato di mettersi in contatto con un operatore della compagnia, onde far ripartire l’abbonamento prima delle 20.30, orario d’inizio del consiglio comunale (il confronto telefonico con l'operatore resta infatti l'unica modalità possibile per il riavvio del traffico dati, nonostante la pubblicizzazione di una nuova app che dovrebbe consentire ogni operazione in modo indipendente). Tim ha continuato a rispondere di “non aver operatori al momento disponibili” (problema acuitosi proprio con lo scoppio della pandemia, verosimilmente per la mancanza di personale che lavora nei call center delocalizzati all’estero). Il consigliere ha così dovuto lasciare il proprio domicilio, cercando di attuare il collegamento dal municipio: quest’ultimo, però, è dotato di cavi di rete adatti solo per pc, non per dispositivi Apple; in alternativa offre un network wi-fi a bassa banda, inadatto per sostenere con fluidità il traffico di dati previsti dal consiglio comunale via Zoom. Altri consiglieri, giunti a loro volta in Villa Verri, hanno avuto invece problemi di collegamento dovuti ai filtri di sicurezza della rete comunale, impedendo l’accesso alla rete dai propri dispositivi.
ANALFABETISMO DIGITALE
Nel frattempo, l’interrogazione di un gruppo di minoranza reclamava spiegazioni sul perché i consigli comunali non siano ancora trasmessi per via digitale, nonostante l’approvazione di un’apposita delibera. Richiesta avanzata senza essere neppure sfiorati dal fatto che, a livello pubblico, le misure di sicurezza per garantire questo tipo di servizio non riescono a essere perseguite oggi neppure su scala nazionale: come ha ben mostrato la recente inchiesta “La scuola a casa”, dedicata alla didattica a distanza, quando accettiamo le condizioni di servizio di Google, Microsoft o Zoom, i dati poi generati finiscono automaticamente negli archivi statunitensi o cinesi, gratis e senza filtro alcuno. Se è già molto grave passare informazioni sensibili riguardanti i nostri studenti e le nostre famiglie ad enti terzi, che potrebbero usarli per scopi a noi sconosciuti, ancor peggiore appare l’analfabetismo digitale di una classe politica che neppure si avvede del pericolo. Stiamo infatti trasferendo sul web non solo la vita privata di ogni cittadino, ma ora anche quella delle nostre stesse istituzioni, con dati altamente strategici, senza poter essere tutelati da applicazioni e strumenti di cybersecurity nazionali. La proposta di creare un Istituto italiano di cybersicurezza è arrivata infatti solo con l’ultima legge di bilancio, nonostante riviste tecniche come Wired denunciassero da tempo un cambio di passo, “perché è nella quotidianità dei gesti compiuti sui nostri dispositivi che si sostanzia l’esecuzione di pratiche virtuose capaci di rendere il cittadino più sicuro”. Nel 2019 l’Italia ha investito 1.3 miliardi di euro in questo settore altamente strategico, appena il 5% dei 20 miliardi spesi invece in Europa. “Siamo infatti il quarto mercato - scrive industriaitaliana.it - dopo Regno Unito, Francia e Germania. Nulla di cui andare fieri, tanto che nella sua Relazione annuale del 2018, la Banca d’Italia sottolineava la debolezza strutturale delle imprese italiane a sviluppare strategie di sicurezza informatica sufficientemente sofisticate da poter contrastare gli attacchi”. Per AgendaDigitale, la sicurezza dei Comuni italiani è addirittura un "quadro a tinte fosche".
POCHE RISORSE PER L'AMBIENTE
DIPENDENZA STATALE
Se i Comuni saranno costretti a fare sempre più affidamento su risorse liquide statali, anziché sul potere di riscossione territoriale messo in crisi dal prolungarsi della pandemia, è altresì indispensabile individuare quanto prima nuove modalità di autosufficienza economica. Il dibattito politico sembra ormai votato fideisticamente al ruolo salvifico del “Recovery Fund”, che dovrebbe garantire soldi a pioggia per progetti territoriali ben giustificati, accettando dunque supinamente le politiche di indebitamento pubblico che hanno stremato l’Italia degli ultimi decenni. Eppure, se ancora conta far politica sul territorio, risorse alternative possono essere messe già in campo: l’obiettivo del futuro dovrebbe cioé consistere nel favorire una sempre maggior autarchia comunale, creando le condizioni per generare servizi e risorse a diretto beneficio della propria comunità. Un Comune sano, al pari di uno Stato sano, non programma il proprio futuro "a debito".
IL FUTURO NELL'AUTARCHIA VERDE
PIU’ EDUCAZIONE, MENO POLITICA
Fra pochi mesi Biassono andrà ad elezioni amministrative, venendo privato di tutte quelle modalità di confronto, partecipazione e interazione che sono alla base di una sana democrazia diretta. La forma più alta di democrazia nota sin dai tempi della Grecia antica, ingabbiata progressivamente da meccanismi di democrazia rappresentativa sempre meno sovrana. Dopo la farsa del referendum sul taglio dei parlamentari (che, in assenza di riforme del sistema elettivo, si è al momento tradotta in un mero ridimensionamento del potere decisionale del cittadino rispetto alla classe politica, in linea con quanto era un tempo auspicato dal programma della Loggia P2), nell’ultimo consiglio comunale abbiamo avuto una nuova dimostrazione di “destrutturazione” statale, relativamente all’istituzione di un “ufficio procedimenti in forma associata” della Provincia di Monza e Brianza. Un organismo, quest'ultimo, apparentemente abolito dal punto di vista dell’elettività delle cariche da parte dei cittadini, ma di fatto rimasto in funzione attraverso la delega di potere elettivo ai rappresentanti politici locali.