Diceva il conte Verri...

"La voce della verità comincia da lontano a farsi ascoltare, poi si moltiplicano le forze, e la opinione regina dell'universo sorride in prima, poi disputa, poi freme, poi ricorre alle arti, poi termina derisa: questo è il solito gradato passo che fa la ragione a fronte dell'opinione" (Pietro Verri)

sabato 22 ottobre 2016

Referendum costituzionale: il NO di Lista per Biassono

Un NO chiaro e definitivo alla modifica della Costituzione. Ogniqualvolta il governo italiano metta in questione un Bene Comune, è dovere di una sana lista civica far sentire la propria voce senza titubanza alcuna. Già nel 2011, allorché si trattò di decidere sull’affidamento a privati del ciclo dell'acqua, o sulla realizzazione in territorio nazionale d’impianti di stoccaggio e/o di produzione nucleare, Lista per Biassono si schierò apertamente per il NO, a loro difesa e salvaguardia. Ora che in gioco è forse il primo e il più importante dei Beni Comuni, cioè la Costituzione su cui l’Italia stessa si fonda, ogni cittadino che abbia a cuore il proprio Paese è chiamato alla mobilitazione. 

Detto in modo diretto, la riforma costituzionale, al pari della nuova legge elettorale, configurano un MODELLO CHE RIDUCE GLI SPAZI DI DEMOCRAZIA. Disegnano un Paese, dunque, in cui la democrazia si riduce all'investitura diretta del partito di governo e del suo capo (art. 2 L.52/2015). Una forma, di fatto, di premierato assoluto, ma senza le garanzie e i contrappesi  tipici di un regime presidenziale. Qui cerchiamo dunque di sintetizzare e argomentare le nostre ragioni (attengono sia a questioni di metodo che di merito; ne elenchiamo alcune traendo spunto dal pregevole scritto del professor Giovanni Missaglia di Lissone), nella speranza questo sintetico contributo aiuti i nostri lettori a valutare il referendum confermativo del prossimo 4 dicembre in modo più critico. Al di là dei facili populismi di cui la politica odierna è sempre più vittima, ma al contempo rispettando sempre la libertà di eventuali e differenti posizioni individuali. 

ASSENZA DI UN CONTESTO EQUILIBRATO
Ogni cambiamento, ammesso e non concesso risponda a una reale istanza di rinnovamento proveniente dai cittadini, dovrebbe avvenire in un contesto equilibrato e democratico, coerente con le linee ed i principi chiaramente delineati dalla Costituzione stessa. Si tratta di una Riforma che nasce per iniziativa del governo che, per definizione, è espressione di una maggioranza politica. Le regole costituzionali, invece, devono essere modificate per iniziativa del Parlamento, sede istituzionale rappresentativa del popolo sovrano, e non della sola maggioranza politica (qualunque essa sia). Diceva Calamandrei nel 1947: “...nel campo del potere costituente il Governo non può avere alcuna iniziativa, neanche preparatoria.....Quando l'Assemblea discuterà  pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del Governo dovranno essere vuoti”.
Né vale l'obiezione di chi dice che il Parlamento ha poi approvato il disegno di legge di iniziativa governativa. Anche perché lo ha fatto coi soli voti della maggioranza e non con quella qualificata prevista dall'art. 138.

UN PARLAMENTO POCO AUTOREVOLE
L'attuale Parlamento è stato eletto con una legge, il cosidetto Porcellum, dichiarata incostituzionale con sentenza n.1/2014 della Corte. Non sarebbe pertanto politicamente legittimato neppure a una piccola revisione costituzionale. Men che meno a una vera e propria riscrittura di 47 articoli della Costituzione! Le Camere, al contrario, avrebbero dovuto approvare una nuova legge elettorale che superasse i rilievi di incostituzionalità della Corte, per permettere ai cittadini di tornare al voto; non certo auto-attribuirsi un potere costituente per riscrivere la Costituzione. Compito che, in realtà, spetterebbe a un'assemblea costituente eletta con metodo proporzionale, onde dare voce a tutte le culture e sensibilità politiche del Paese.

ALTERATI I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COSTITUZIONE
Non è vero che la Parte Prima della Costituzione non viene toccata. Può esser vero sotto l'aspetto formale, non certo sotto quello sostanziale. I Principi Fondamentali trovano infatti la loro effettiva attuazione nella Seconda Parte. Ne consegue che, ad esempio, il nuovo Senato non elettivo, ma anche la nuova legge elettorale, modificano sostanzialmente l'art. 1 perché cambiano le forme e i limiti in base ai quali si esercita la sovranità popolare. Analogamente, per l'innalzamento da 50.000 a 150.000 delle firme per le leggi di iniziativa popolare. O per la modifica del Titolo V, che confligge col principio della promozione delle autonomie e del decentramento sancito all'art. 5.

COSTITUZIONE E LEGGE ELETTORALE SONO INTERDIPENDENTI
Il giudizio sulla Riforma non può essere disgiunto dalla valutazione sulla nuova legge elettorale, contribuendo la stessa a determinare gli equilibri istituzionali. L'Italicum servirà ad eleggere la sola Camera dei deputati, l'unica dotata del potere di accordare o revocare la fiducia al governo. Ed è una legge che non supera i rilievi di incostituzionalità del Porcellum, attribuendo anch'essa un abnorme premio di maggioranza (54%) al partito vincitore delle elezioni. Ne uscirà una Camera sempre più saldamente governativa, mero luogo di ratifica delle decisioni del governo. Vengono inoltre mantenuti i capilista nominati dai partiti, che potranno presentarsi in più collegi, fino a 10. Verrà meno il principio costituzionale della conoscibilità dei candidati da parte dell'elettore, perché non è prevedibile, grazie al gioco delle “opzioni”, se il candidato che l'elettore ha votato sarà o no quello poi effettivamente eletto nel collegio. Il Parlamento non sarà più un'istituzione libera e indipendente in grado di esercitare un efficace controllo sul Governo, ma avverrà il contrario. Lo conferma, del resto, l'introduzione dell'istituto del cosiddetto “voto a data certa” (art. 72, c.2) con il quale il Governo può imporre al Parlamento contenuti e tempi di discussione dei provvedimenti considerati prioritari ed essenziali per l'azione di governo.

TUTTE LE ISTITUZIONI SOTTOPOSTE AL GOVERNO
La nuova Camera dei deputati continuerà ad essere composta da 630 membri; il nuovo Senato, invece, viene ridotto da 315 a 100 membri. Ne consegue che, ogniqualvolta il Parlamento dovrà riunirsi in seduta comune, il peso specifico della Camera dei deputati, eletta col sistema di cui sopra, sarà nettamente superiore a quello del Senato. Il Governo, che già controlla la Camera dei deputati, potrà scegliersi un “suo” Presidente della Repubblica (dal settimo scrutinio saranno sufficienti i 3/5 dei votanti, non dei componenti del Parlamento) i tre giudici della Corte costituzionale ed i membri del CSM di elezione parlamentare in seduta comune.
Viene pertanto aggravato il rischio della concentrazione dei poteri nelle mani della sola maggioranza governativa. Riteniamo che la riduzione del numero dei politici avrebbe potuto e dovuto essere  realizzata dimezzando anche il numero dei deputati, mantenendo l'equilibrio istituzionale senza il quale il sistema di pesi e contrappesi di una democrazia costituzionale finisce per saltare.

UN SENATO A MEZZO SERVIZIO
Il nuovo Senato, che non rappresenterà più la Nazione ma le “istituzioni territoriali”, conserva rilevanti funzioni legislative nazionali, pur non essendo più legittimato direttamente dal corpo elettorale. Ma chi legifera per tutto il popolo italiano dovrebbe avere un mandato diretto; i nuovi senatori, invece, saranno eletti, tra i consiglieri, dai Consigli Regionali. E come abbiano potuto conservare il potere di revisione costituzionale, senza elezione diretta, continua a rimanere un mistero. Così come un arcano è la scrittura del nuovo art. 57 in base al quale “i Consigli Regionali eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti” salvo aggiungere che i senatori devono essere eletti “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi”.
Ma se queste scelte saranno vincolanti, non può esserci elezione da parte dei Consigli regionali ma, al più, ratifica; se non saranno vincolanti, come si può parlare di “conformità”?

CONFLITTUALITA’ DELLE CAMERE
Il nuovo art. 70, lungi dal superare i vizi del bicameralismo paritario, introduce una complicata procedura legislativa che, invece, rischia di aggravarli ingenerando conflitti di competenza tra le due Camere. Vi possono essere:
a) leggi approvate da entrambe le Camere
b) leggi approvate dalla sola Camera dei deputati ma con possibile esame del Senato
c) leggi approvate dalla sola Camera dei deputati ma con necessario esame del Senato
        d) disegni di legge che il Senato può chiedere alla Camera dei deputati di esaminare        
e) leggi elettorali per le quali è possibile chiedere il controllo preventivo della Corte costituzionale
f) leggi dichiarate dal Governo essenziali all'attuazione del suo programma
g) leggi di conversione dei decreti legge
Non siamo certamente di fronte ad una “semplificazione”. I conflitti di competenza sono ovviamente prevedibili e previsti, al punto che i Presidenti delle Camere sono già investiti del ruolo di arbitri per dirimerli.

MANTENIMENTO DEI “PRIVILEGI”
I nuovi senatori a mezzo servizio (Consiglieri regionali o Sindaci) non percepiranno indennità, ma saranno spesati per le trasferte romane. Godranno, invece, dell'immunità parlamentare prevista dall'art. 68, dando copertura costituzionale anche alla loro attività sui territori.

PIU’ CENTRALISMO STATALISTA
La Riscrittura del Titolo V (art. 117 e segg.) riporta allo Stato alcune materie che dal 2001 erano divenute di competenza delle Regioni. Allo Stato viene attribuita la possibilità di legiferare senza limiti, in via ordinaria ed in via straordinaria attraverso la cosiddetta clausola di supremazia (art. 117, c.4). Lo svuotamento del potere legislativo delle Regioni appare contraddittorio con la previsione di un Senato che dovrebbe rappresentare le istituzioni territoriali.


 “Non è il fascismo: non ci sono le leggi razziali, il confino per gli oppositori e la messa al bando dei partiti di opposizione e dei sindacati. Ma è un clamoroso svuotamento della democrazia, che non è solo governo di una maggioranza, peraltro artificiosamente costruita dai meccanismi elettorali, ma anche garanzia delle minoranze, partecipazione, rappresentanza istituzionale del pluralismo sociale e attento equilibrio dei poteri dello Stato”. Giovanni Missaglia

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