A Biassono scorre sangue blu.
Grazie agli studi di Roberta Ramella e Gianfranco Pertot, collaboratori del
Gruppo Ricerche Archeostoriche del Lambro, è stato possibile confermare non
solo il profondo legame che unisce la più illustre famiglia dell’Illuminismo
italiano al nostro paese, ma l'irresistibile magnetismo di quest'ultimo nei confronti
dell’intera nobiltà brianzola.
Prima che i famosi conti Verri facessero di
Biassono il proprio baluardo residenziale, quasi tutte le principali dinastie
del territorio hanno infatti ambito a possedere proprietà in loco, dando vita a
una comunità quanto mai originale: un sodalizio di genti aristocratiche che,
sufficientemente distanti dalle lotte di potere milanesi, ebbero sì modo di
perpetrare privilegi feudali anche in epoca moderna, senza però perdere mai il
contatto coi principali salotti del potere italiano ed europeo. Né lontani, né
vicini: semplicemente sospesi in un limbo di privilegi logisticamente unico.
Nelle parole dello stesso Pertot: “Biassono era il luogo ideale per costituire
una vera e propria microsocietà di convenienza”.
Bossi, Casati, così come Dalla
Croce o De Regibus De Ello, per arrivare ai Frotta o ai temuti Osio,
s’insediarono tutti in un prestigioso quadrilatero di ricchi palazzi che
avrebbero poi dato forma all’attuale centro storico, occupando dal Cinquencento
in poi i lotti compresi fra il lato meridionale di piazza S. Francesco, dove
tuttora sorge la parrocchiale del paese, via Verri, via Umberto I e via Roma.
E’ forse in questa peculiare complicità “immobiliare” che va riconosciuto quel
carattere orgoglioso e autoreferenziale che, in tanti, attribuiscono ancor oggi ai
biassonesi, facendone un “casus” persino fra i propri immediati vicini:
famiglie che per tutelare un opportunistico status quo economico e sociale, di
volta in volta si alleavano le une con le altre, onde ostacolare eventuali
infiltrazioni esterne o espellere sgraditi residenti. Persino quando il vicino
entrava in crisi e finiva per apparire inerme preda della speculazione, neppure
allora si osava sferrare il colpo di grazia: anziché acquisire proprietà altrui
in modo definitivo, queste venivano provvisoriamente rilevate onde concedere
liquidità agli aristocratici in affanno, concordando però un piano di rientro
che avrebbe ricondotto le stesse nelle mani dei padroni originali.
Così, almeno,
fu sino al 1695, anno in cui i Verri – già ricchi mercanti e “domini” dal
lontano Trecento - acquistarono l’ancor più prestigioso titolo di “conti”
grazie a Gio Pietro (papà di Gabriele, consigliere a Vienna dell’imperatrice
Maria Theresa e nonno degli illustri fratelli Pietro, Carlo, Alessandro e
Giovanni): benché la loro presenza a Biassono fosse attestata dal 1504, in
virtù di un’operazione di compravendita che portò nelle loro mani un complesso
agricolo dotato di 300 pertiche (e, viceversa, compensò il titolare Francesco
Ferrario con tutte le proprietà vedanesi dei Verri), sul finire del XVII secolo
accade l’impensabile: anno dopo anno, decennio dopo decennio, un’unica famiglia
inizia a erodere piano piano la ricchezza di tutte le altre (eccezion fatta per
i Dalla Croce, che si chiuderanno nel loro dorato palazzo sui terreni
dell’attuale oratorio maschile), finendo per alterare addirittura l’urbanistica
del paese: per costruire la splendida villa oggi divenuta municipio, i Verri
faranno infatti deviare la strada Monza-Carate all’altezza dell’antica osteria
di Biassono (oggi Cascina Cossa, sede del museo civico), creandosi una pomposa
prospettiva alberata che dalla Villa stessa si spingeva per i campi sino al
confine con Lissone.
I Verri sarebbero rimasti padroni indiscussi di Biassono
sino al 1902, quando la nipote di Pietro, la contessa Carolina (1820-1902),
avrebbe frazionato e dismesso tutte le proprietà di famiglia per via dei costi
ormai insostenibili. Da allora il nome dei Verri cessa di apparire negli annali
del paese, ma ogni angolo, ogni curva, ogni mura di Biassono racconta ancora
virtù e vizi di quella famiglia che, forse più di tutte le altre, contribuì a
riaccendere il lume del riscatto nelle tenebre dell’Italia ispanica. Certo non
mancano ombre nella loro storia di abili investitori e pignoli contadanari: uno
scottante documento delle monache di San Pietro Martire in Terra Santa a Vedano
(dalle quali, nel Quattrocento, avevano ottenuto un’investitura in perpetuo per
la gestione di ricche proprietà terriere in Brianza), li accusava di non
ottemperare i patti, trattenendo per sé ricchezze spettanti alle pie donne. Ma
si sa: l’ambizione non conosce remore. Oggi Villa Verri svetta di fronte a
chiunque passi per Biassono. Del Monastero non esiste più traccia alcuna.
Alberto Caspani
VIDEO DI PRESENTAZIONE (BIASSONO BLOGTV)
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