Diceva il conte Verri...

"La voce della verità comincia da lontano a farsi ascoltare, poi si moltiplicano le forze, e la opinione regina dell'universo sorride in prima, poi disputa, poi freme, poi ricorre alle arti, poi termina derisa: questo è il solito gradato passo che fa la ragione a fronte dell'opinione" (Pietro Verri)

lunedì 18 luglio 2016

QUANTO PUO' VOLARE ALTO LO SGURBATEL?

Quanto può volare alto lo Sgurbatel? Il rilancio del vino “made in Biassono”, celebrato in pompa magna sabato scorso, 16 luglio, durante la degustazione organizzata dall’amministrazione comunale nel vitigno di via Madonna delle Nevi, è un progetto che mostra sicuramente un grande potenziale. Culturale, in primis, ma anche e soprattutto commerciale e turistico. Il rischio, tuttavia, è che resti più una testimonianza folkloristica, che una piattaforma di rilancio per la produzione agricola biassonese. 

Il sindaco Luciano Casiraghi, giunto ad alzare il calice del secondo raccolto, ha usato toni molto prudenti: “La coltivazione della vite coinvolge oggi una superficie di circa 1000 mq, su cui insistono 500 piante - ha ricordato - ragion per cui la produzione massima è stata di  una cinquantina di bottiglie. Grazie alla collaborazione professionale dell’azienda agricola di Maurizio Palombi, la qualità del vino è cresciuta, avendo ottenuto ora un pinot rosso molto più intenso della prima raccolta, ma con queste cifre non potremo far altro che utilizzare la nostra produzione per omaggi istituzionali”. 


E sarebbe un vero peccato, tenuto conto che il progetto - capace di coinvolgere gli alunni dell’Istituto comprensivo biassonese, portandoli al successo nel concorso scolastico indetto da Regione Lombardia per Expo2015 - ha già ottenuto risonanza extracomunale. 

Qualora la produzione fosse aumentata, le attuali regolamentazioni prevedono però che ci si costituisca in azienda vitivinicola, dovendo far fronte ai mille cavilli commerciali che stabiliscono quali possano essere, o meno, le zone effettivamente riconosciute a vite, oltre a dover fronteggiare le severissime limitazioni europee. Insomma, una strada nettamente in salita, nel caso in cui si rinunciasse a una dimensione oggi inquadrata nei limiti legali del “vigneto famigliare”. O, forse, un’opportunità per sperimentare un nuovo modello di commercializzazione. 


Il vino di Biassono, infatti, non è un vino come tanti altri. E’ un vino che può vantare secoli di tradizione alle spalle, oltre ad un’attestazione ufficiale che risale niente meno che ai tempi del nostro illustre vescovo Ansperto da Biassono: nel suo testamento dell’879 d.C., viene menzionato addirittura un nome ufficiale “petia una de vite in eodem fundo de Blassono locus ubi nominatur Cenacello…” (“un appezzamento con viti nello stesso fondo di Biassono nel luogo che si chiama Cenacello”). 

La vigna di Cenacello, dunque, sarebbe ad oggi il nome più antico conosciuto per una vigna biassonese. Stando a quanto ne deducono i ricercatori del Gral, l’etimologia potrebbe derivare da “cena” o “cenaculum”: un vino cioè adatto per la cena del padrone o per i riti del culto cristiano. Simili testimonianze non andrebbero affatto sottovalutate, tenuto conto che sono assai poche le ricerche sul campo in grado di attestare l’antichità di una produzione locale con tanta precisione: il primo passo per il futuro, dunque, dovrebbe consistere nell’esplicitare tali nobili radici sull’etichetta del vino (disegnata con grande abilità dalle scuole biassonesi, ora menzionate sulle bottiglie insieme al Comune e al Museo Civico), oltre a spiegare perché la produzione di Biassono sia tanto speciale nel contesto vitivinicolo italiano ed europeo. 


E qui, di nuovo, Biassono può mettere sul campo un altro contributo, tanto raro quanto prezioso. Non è un mistero che il nostro concittadino Conte Carlo Verri (1743-1823), appassionato di tecniche agricole, compisse rivoluzionarie sperimentazioni nel territorio di Biassono, al punto da dare alle stampe un vero e proprio best-seller dell’epoca: “Saggio di agricoltura pratica sulla coltivazione delle viti” (1803), foriero di ben cinque riedizioni unitamente a un altro saggio dedicato alla coltivazione del gelso (altra coltura su cui molto ci sarebbe oggi da lavorare). Non fu il suo solo testo a tema a raggiungere ampia popolarità addirittura fuori dall’Italia, ma certamente è al suo interno che sono menzionate specifiche procedure e accortezze che spinsero il Conte a considerare l’uva Colciasca (detta anche Bottascera, Marcellana o Margellana), nonché quella Balsamina, ideali per ricavare “un vino eccellente, non inferiore ai vini toscani”. Lo stesso Carlo, che indica nel fondo di 100 pertiche e 500 piante lo “standard” biassonese, arrivò a produrre anche un’imitazione degli “zampillanti e fumosi vini della Sciampagna”. 



Tenuto conto della vicinanza della scuola di agraria del Parco di Monza, esistono dunque tutte le condizioni per “brevettare” una formula di produzione tipicamente biassonese che, indipendentemente dai quantitativi e dalla qualità, immetterebbe sul mercato bottiglie con un valore economico da collezione. Soprattutto se fossero numerate ed eventualmente tutelate da un marchio di qualità locale. Occorrerebbe naturalmente far conoscere l’importanza e l’esclusività di tale produzione, organizzando sul territorio un percorso guidato al vitigno sperimentale di via Madonna delle Nevi: muovendo dai locali del museo civico “Carlo Verri” e valorizzando i tracciati verdi presenti nei terreni in zona Parco Lambro, di fatto esiste già una piacevole escursione ciclo-pedonale, ma andrebbe corredata da segnaletica su cui riportare i testi prodotti dal Gral (inclusi quelli presenti nel nuovo Atlante Toponomastico, grazie al quale Lista per Biassono ha già sperimentato lo scorso maggio un itinerario di successo). 

Non va infatti sottovalutata la posizione dell’attuale vitigno, comodamente raggiungibile dal Centro storico attraversando i sentieri che si dipartono da Via delle Vigne, così come dalla stazione dei treni (dove il vitigno sperimentale andrebbe segnalato in un apposito info-point) o dalla ciclovia del Lambro, oltre che prossima alla sezione distaccata del museo agricolo delle Cascine. Va da sé, infine, che sulla cultura del vino si potrebbero poi organizzare seminari, corsi, saggi eno-gastronomici, nonché iniziative di adozione di vigneti per produzioni su larga scala: tutte attività idonee per sviluppare una vera e propria carriera lavorativa destinata ai ragazzi del nostro territorio. 

Basti pensare ad alcune esperienze di successo recentemente lanciate da giovani imprenditori votatisi alla riscoperta della cultura agricola brianzola, come il progetto “Zafferanza”, curato dal sodalizio Mastri Speziali e affiancato all’inaugurazione di sabato scorso, insieme a prodotti agricoli a km zero. Dall’altra, però, oggi ci si scontra con una mentalità che appare ancora troppo chiusa su se stessa, come dimostra la paradossale installazione della nuova segnaletica della Corona del Parco al di sotto della torre di Biassono: un tabellone che vorrebbe sì segnalare le eccellenze commerciali del territorio, senza però indicare quali siano i motivi per ritenerle tali e, soprattutto, senza prevedere neppure una traduzione inglese dei testi (oggi fra l’altro spendibile attraverso l’uso di pratici QR code). Insomma, molto c’è da lavorare, come da tempo Lista per Biassono si sta sforzando di far comprendere e come timidamente pare ora recepire la giunta leghista; notevoli potrebbero essere poi le prospettive di crescita, ma occorre innanzitutto un diverso approccio. Un’azione di concerto che investa e “formi” ampi strati della cittadinanza, tuttora inconsapevole delle risorse esistenti sul proprio territorio.     

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